Welfare aziendale: quando il lavoro fa bene alla salute

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Quasi il 64% dei giovani lavoratori crede che l’azienda in cui lavora possa fare molto per migliorare il proprio benessere. Ma come le aziende di oggi possono costruire un buon welfare aziendale per le nuove generazioni di lavoratori?

Introduzione

Quasi l’84% dei giovani dipendenti ritiene che il proprio lavoro contribuisca al proprio benessere fisico, mentale e psicologico come registrato nell’VIII Rapporto Censis-Eudaimon. Infatti quando oggi si parla di benessere creato dal lavoro, per come lo intendono le nuove generazioni, si toccano diverse dimensioni (come spiegato in questo precedente articolohttps://info.deltaindex.it/blog/welfare-aziendale-una-priorit%C3%A0-per-il-benessere-dei-lavoratori).  Eppure, secondo il Rapporto Censis, il 63,5% dei giovani lavoratori è convinto che l’azienda in cui lavora potrebbe fare molto per migliorare il proprio benessere – e lo crediamo anche noi dell’Osservatorio Delta Index dopo esserci confrontati con diverse aziende. Ma cosa potrebbero fare le imprese per creare benessere? L’osservatorio Delta Index ha registrato quanto il welfare abbia un ruolo cruciale per trattenere i giovani in azienda. Ma quali sono le fondamenta per costruire un welfare aziendale a misura di Gen-Z?

Primo step: cosa rende un lavoro buono? 

Come registriamo nell’osservatorio Delta Index rapportandoci ogni giorno con diverse aziende, il benessere delle persone sul posto di lavoro ha bisogno in primo luogo di un buon lavoro. Se un’attività è vissuta con sofferenza il rischio che ne conviene è che si operi in senso contrario, generando malessere. Dunque il primo step da parte delle aziende è capire che cosa sia un buon lavoro per le persone e l’impatto che soggettivamente queste gli riconoscono. La prima verità che va certamente fissata è che non esiste un lavoro ideale in astratto e ottimale per tutti. Esistono lavori molto concreti che rispondono ai desiderati particolari specifici di ciascun individuo. Tutti i lavoratori, soprattutto i giovani, tendono a delineare la propria terra promessa concretamente realizzabile. Secondo il Rapporto Censis al vertice degli aspetti che contano perché un lavoro sia ritenuto buono da parte dei giovani lavoratori si segnala un buon rapporto con i superiori e colleghi (94,6% con il 57,8% che lo considera molto importante). Questo dato segnala come il contesto relazionale in un’azienda è un fattore cruciale per i risvolti sul benessere dei lavoratori. Emerge inoltre che le tante e diverse mansioni dell’attività lavorativa – da quelle inerenti alla performance e alle mansioni a quelle afferenti al contesto – sono rilevanti. Le condizioni lavorative che vengono scrutinate dai lavoratori sono le più disparate e sono sicuramente legate al concetto di welfare aziendale, partendo dai servizi sino agli aspetti del benessere legati alla salute fisica ma anche mentale.

I servizi che generano benessere

Quando si parla di welfare aziendale nella mente dei giovani lavoratori si palesano una serie di servizi che l’azienda dovrebbe mettere a disposizione per migliorare la condizione di benessere dei lavoratori. Infatti come riporta il Rapporto Censis l’85,8% dei lavoratori dipendenti rispetto al miglioramento del welfare richiama esplicitamente l’introduzione o l’aumento dei benefit del welfare aziendale. I lavoratori vedono come un plus il fatto che l’azienda metta a disposizione un ampio stock di servizi, prestazioni e attività nella piattaforma aziendale welfare. I servizi richiesti sono i più disparati. Quelli più apprezzati come testimonia il Rapporto Censis sono le iniziative per la salute fisica per l’80,3% dei lavoratori (palestra e corsi fitness di vario tipo). Per il 74,8% sarebbe importante avere accesso a servizi legati alla cultura (cinema, teatro, musei, acquisto di libri ma anche una piccola biblioteca nella sala relax dell’azienda). Infine il 68,5% dei lavoratori ritiene necessari servizi legati al supporto della salute mentale che ormai suscitano parecchio interesse nella società (yoga e attività di mindfulness).

Vedere la persona nel lavoratore: autonomia e riconoscimento

Alla creazione di un buon ambiente di lavoro e alla costruzione di un funzionale welfare aziendale contribuisce anche il comportamento che i capi hanno nei confronti dei loro dipendenti. Come è emerso dal Rapporto Censis infatti il 93,1% dei lavoratori indica come importante – e il 43,4% come molto importante- per il proprio benessere sul lavoro la possibilità di operare con un certo grado di autonomia. È necessario distinguere il lavoratore come persona in grado di scegliere dal lavoratore come macchina che esegue gli ordini. Ma come faccio a dare autonomia ai lavoratori? Innanzitutto bisogna comprendere che l’autonomia non è solo la possibilità di operare da soli. Sono molti gli ambiti in cui è possibile creare la giusta autonomia che fornisca benessere al lavoratore. Ad esempio si può ritrovare l’autonomia a cominciare da una certa flessibilità oraria costitutiva di un buon lavoro. Il desiderio del lavoratore della GenZ di gestione degli orari non è solo una questione di comodità. Questa volontà introietta ed esprime un sentimento molto forte soprattutto nella nuova generazione di lavoratori che consiste proprio nella possibilità di disporre di spazi di azione che non siano incasellati in una gerarchia con relative logiche e routine. L’autonomia non è altro che una valorizzazione soggettiva e un riconoscimento operativo. Essa porta in sé il concreto operare delle aziende: la potenza e il valore delle persone con il conseguente primato del fattore umano su quello organizzativo e tecnologico. L’88,8% dei lavoratori dipendenti crede infatti che il vero leader in un’azienda sia colui che valorizza le persone. Quest’ultima è una convinzione condivisa trasversalmente da tutti i lavoratori senza distinzione di età o genere oltre che settore economico e dimensione dell’azienda in cui lavorano.  

Gratificare gli sforzi del lavoratore

Un altro aspetto decisivo nella costruzione di un welfare funzionale e della relazione lavoro/benessere consiste nel desiderio di riconoscimento. L’87,6% dei lavoratori ritiene infatti che sentirsi valorizzati nel lavoro è importante per il proprio benessere mentale. Per i giovani dipendenti – e non solo – sarebbe opportuno lavorare con le appropriate gratificazioni che non per forza debbono essere materiali. Esistono anche gratificazioni immateriali che possono influire molto positivamente sulla salute mentale dei lavoratori. Inoltre è necessario delineare che di questi tempi i lavoratori dipendenti hanno una forma di rigetto verso una concezione di lavoro che ormai non è più accettata. Si fa riferimento in particolare alla convinzione secondo cui il lavoro è una sorta di valore supremo in cui è lecito chiedere i massimi sforzi (dalla durata di orario all’intensità) senza appropriate contropartite economiche di gratificazione. L’etica del lavoro contemporanea dei giovani della GenZ vede come inaccettabile tale concezione. Soprattutto a causa di un mercato del lavoro che rema contro ai giovani laureati stessi che si ritrovano ad avere contratti inadeguati rispetto alle competenze e che non consentono una progettazione di vita. Proprio per questo il 65% dei lavoratori dipendenti reputa inaccettabile che per “riuscire” nel lavoro si debba essere disposti a dedicarvi tutto o parte del proprio tempo libero. Al momento stiamo vivendo in una società ad alta soggettività e orientata al benessere soggettivo. Questo è il risultato di un molteplicità di dimensioni e attività che non prevedono più lo status economico e il consumo a determinare la felicità individuale. Dunque l’idea di lavoro totalizzante e sacrificale senza opportune e apprezzate gratificazioni non attirano i giovani lavoratori.

Vita privata e lavoro: il lavoratore equilibrista

Tutto nella vita delle persone, in particolare dei giovani della GenZ di questi tempi, è orientato al fine ultimo di benessere soggettivo e il lavoro non è immune da questa ricerca di benessere. Infatti laddove il contesto lavorativo si registra ostico o non adattabile alle proprie esigenze scattano da parte dei lavoratori dei meccanismi di micro-difesa individuale. Difesa che si materializza in un approccio puramente strumentale al lavoro con una relativa minimizzazione di impegno e coinvolgimento. L’Osservatorio Delta Index che ha da tempo aperto un dialogo con diverse aziende, ha registrato che i teorici e responsabili delle risorse umane oggi devono interfacciarsi con diversi lavoratori. Persone a caccia di autonomia, equilibrio con la vita privata, contenuti e forme del lavoro funzionali alla propria idea di benessere. Al tempo stesso i lavoratori portano in ufficio il carico delle problematiche della vita quotidiana proprie e dei familiari con effetti negativi sulla performance lavorativa. Per far fronte a questo circolo vizioso è necessario rapportarsi anche nel contesto lavorativo con le persone nella loro totalità. Il lavoratore non è un’energia psicofisica o un insieme di capacità da utilizzare. Il lavoratore è un individuo che nella complessità della propria vita svolge anche una mansione lavorativa.

Una risorsa preziosa: il tempo

Il tempo è una risorsa troppo scarsa per essere monopolizzata da una sola attività, anche se essa è veramente importante come il lavoro. L’89,4% dei dipendenti che hanno partecipato al Rapporto Censis indica che un efficace lenitivo degli effetti di difficoltà e sofferenze consiste nella possibilità di dedicare più tempo a sé stessi e alle attività che piacciono. L’86,2% vorrebbe avere più tempo da spendere con amici e parenti. Il 78,9% vorrebbe più tempo per fare attività fisica. Mentre se il 73,9% vorrebbe più tempo per attività culturali, il 79% vorrebbe più tempo per potersi riposare. Inoltre il 64,1% indica come importante (il 30,7 come molto importante) la possibilità di poter lavorare anche in Smart Working. Il lavoro da remoto potrebbe essere una modalità molto vantaggiosa per i più giovani che permette di conciliare lavoro e vita privata se ben dosata dalle aziende.

Salute mentale 

Sebbene si sia già parlato di salute è doveroso dedicare uno spazio in merito alla salute mentale in particolare in questo periodo post-Covid. Posto che esista un periodo ante Covid e post Covid anche nel mondo del lavoro, soprattutto nel periodo dopo la pandemia si è iniziato a discutere maggiormente di disturbi psicologici e delle possibili soluzioni. Situazioni di disagio psicologico che durante la pandemia si sono diffuse a macchia d’olio lasciando aloni diffusi che tuttora si fanno fatica gestire e con conseguenze anche e soprattutto in ambito lavorativo. L’attenzione alla salute mentale dalle aziende e la disponibilità di adeguati servizi di gestione di disturbi psicologici è estremamente importante per i lavoratori. In particolare il 63,5% dei lavoratori dipendenti vorrebbe poter investire nel proprio benessere mentale ricorrendo ad uno psicologo o svolgendo attività di meditazione o yoga. Il 38,2% dei lavoratori dipendenti è profondamente convinto che fare meditazione lo aiuterebbe a gestire meglio situazioni di stress e dunque anche ad essere più produttivo. Conseguentemente a queste richieste è importante che le aziende si impegnino realmente su questa nuova frontiera su cui si gioca anche la social reputation dell’azienda. Così come l’Osservatorio Delta Index considera letali forme di green washing, possono essere negativi approcci solo enunciativi di impegno in merito a questo nuovo filone della salute mentale.

Conclusione: la nuova sfida

Tutte le condizioni sopra riportate sono situazioni che l’Osservatorio Delta Index registra come necessarie per poter trattenere i giovani in azienda. Non esiste più un tempo inviolabile del lavoro e dell’azienda in cui non hanno legittimità le esigenze personali. Su questo nuovo modello di società è possibile costruire un nuovo welfare aziendale per rispondere alle esigenze dei lavoratori. Ogni lavoratore che ricerca benessere anche e soprattutto dal lavoro ha bisogno di un welfare che si adatti alle sue esigenze e che riesca a soddisfare bisogni che possono compromettere le performance lavorative. Non è più possibile, da parte delle aziende, adottare un percorso standard, di massa e socialmente condiviso di accesso al benessere. È necessario che le aziende si rassegnino a questa irriducibile e prioritaria voglia di benessere di tutti. È necessario che le aziende elaborino un pensiero concreto per la gestione delle risorse umane e del welfare aziendale che non è più solo riparativo o rivolto a chi ha problemi o disagi. La soluzione valida non è certo quella di garantire tutto a tutti e attivare servizi su servizi. Le aziende devono muoversi verso la creazione di un luogo in cui si promuove un benessere integrato e continuo per il lavoratore dipendente. Il welfare aziendale deve offrire soluzioni che migliorano la qualità della vita nel suo complesso. In questo senso si inizia a parlare di azienda come Hub del benessere diventando un luogo di ascolto e supporto del lavoratore.

Alessia Carne

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